Quando la commedia “LE DONNE AL PARLAMENTO” fu portata in scena da Aristofane, nel 393 a.c., Atene, sfiancata da quarant’anni di guerra, era una città in profondo declino materiale e spirituale (il processo e la condanna di Socrate, nel 399 a. c., furono una prova tangibile dello sbandamento delle coscienze). In quest’atmosfera di stanchezza e di sfiducia, nascono “LE DONNE AL PARLAMENTO”, che concludono la cosiddetta “trilogia femminista” di Aristofane che comprende le “Tesmoforiazuse”, contenente il primo germe di rivolta delle donne contro gli uomini, sotto forma di giocosa parodia letteraria antieuripidea, “Lisistrata” che rappresenta il primo moto eversivo determinante (attraverso la negazione del piacere sessuale), che oppone agli uomini, ostinati in una guerra assurda, il diritto delle donne a far valere le loro ragioni. Infine, “LE DONNE AL PARLAMENTO” (“Ecclesiazuse”) in cui Aristofane traccia un affresco iperbolico e paradossale, con l’ironia a lui congeniale, di una società oramai allo sbando, fatta di maschi “impegnati” a dormire e ad espletare i propri bisogni. Di fronte alla totale incapacità degli uomini di costruire un mondo giusto, alle donne non resta che un’ultima ed estrema possibilità: assumere il potere. Una volta al governo, le donne decidono di mettere tutto in comune, abolendo la proprietà privata e la famiglia, i due pilastri della società costruita dagli uomini. In questo modo non ci sarà più motivo di rubare: tutti attingeranno in parti uguali al patrimonio comune, amministrato dalle donne, che avranno in comune tutti gli uomini e potranno fare figli con chiunque.
Nella nostra versione abbiamo rispettato quanto più possibile il testo originario senza attualizzarlo con riferimenti alla politica attuale e alla sua crisi ormai più che ventennale, per non incasellarlo in un esercizio di critica politica, ma abbiamo giocato con elementi di modernità, prevalentemente nell'ambientazione e nei costumi, che richiamano a un più vicino presente storico cha fa riferimento alla lotta operaia degli anni 70, dove il tema del “comunismo” era decisamente più sentito di oggi, senza comunque darne alcun giudizio storico ma, anzi, prendendolo solo come pretesto per farne una commedia grottesca.