Elizabeth ed Harry si ritrovano dopo molti anni nella loro vecchia casa di campagna a causa di una sgradevole circostanza. La loro madre, Margery Colson, celebre autrice di romanzi fantasy per ragazzi, è morta e i due sono costretti a trascorrere un paio di giorni insieme per affrontare una spinosa questione: l’eredità.
Harry, il minore, ha tentato la carriera di scrittore senza troppo successo. Avendo accumulato un discreto numero di fallimenti e di debiti, si è ridotto ad accontentarsi di un assegno mensile da parte di sua madre la quale, dopo aver constatato l’impossibilità da parte del figlio di risanare la propria vita malandata, ha deciso di chiudere i rubinetti allontanando definitivamente Harry dalla propria vita. Elizabeth non ha mai avuto il desiderio di seguire le orme materne e, dopo essere incappata in un matrimonio tutt’altro che felice e in un conseguente burrascoso divorzio, si è dedicata al lavoro editoriale curando gli interessi dell’attività materna dedicando a sua madre il proprio tempo, il proprio affetto ed ogni sua attenzione.
Le volontà della signora Colson appaiono molto chiare: partorito da una mente eccentrica, il testamento prevede che tutto il denaro, i diritti su un lunghissimo manoscritto composto da decine di quaderni, i possedimenti ma anche un numero enorme di oggetti di valore (anche affettivo) siano ripartiti minuziosamente tra i figli e gli innumerevoli uomini che hanno fatto parte della sua vita.
Due vite rovinate, consumate dalla rabbia e dal rancore reciproco, soffocate da un madre ingombrante dalla vita misteriosa vissuta circondata da uomini, vizi, vezzi e agiatezza. Tra telefonate, isterismi e bottiglie di vino Harry ed Elizabeth dovranno affrontarsi confrontarsi e riscoprirsi: tuffandosi nella propria infanzia si troveranno costretti a conoscersi di nuovo e a misurarsi con i propri fallimenti, nati da una madre distratta e dai loro tanti “papà”, nel tentativo di mettere ordine alle proprie esistenze ed al proprio rapporto cercando di rincollare i pezzi di un vaso andato rotto molti anni prima.
Childhood è l’ultimo capitolo che chiude la trilogia di Lonelidays e di sicuro è il più ambizioso. Attraverso questo percorso drammaturgico durato tre anni mi sono dato l’obbiettivo più che di analizzare di raccontare i rapporti di coppia in diversi momenti della vita di un uomo. Quest’ultimo capitolo si concentra, a differenza dei precedenti, su un rapporto di coppia di natura affettivo, familiare: un fratello e una sorella che dopo tanti anni sono costretti a trascorrere del tempo insieme mettendo a confronto le proprie vite, percorrendo a ritroso il sentiero alla ricerca dei momenti e delle ragioni per cui le loro strade si sono separate.
Elizabeth ed Harry sono cresciuti all’ombra del successo della propria madre, dopo un’infanzia felice ricca di attenzioni ed affetti, col passare degli anni hanno dovuto inevitabilmente misurarsi con il mondo al di fuori di una campana di vetro: arrivati sopra i quaranta guardano alle loro vite con malinconia e con la presunzione di chi non ammette i propri fallimenti, rifugiandosi nel rancore verso una madre libertina dalla vita eccessiva.
Il denaro, le terre e tutto ciò che viene elencato nel testamento funge solo come pretesto. L’enorme ricchezza di Margery non è altro che uno specchio spietato in cui si riflette la pochezza della vita dei figli, come se la madre avesse voluto, come ultima burla, denigrare i due mostrandogli quanto poco questi le somigliassero.
Ed è proprio da questo concetto che prende forma “Childhood”: quanto pesano le colpe dei genitori sui propri figli? E quante responsabilità hanno i figli nei confronti dei propri genitori? Quanti equivoci possono nascere a causa di stupidi fraintendimenti e soprattutto quanto tempo ci occorre per riconoscere che tutto quello che crediamo sia, a volte, solo la conseguenza di un fraintendimento?
Harry ed Elizabeth rappresentano il “fraintendimento”, nel corso del testo scopriranno non solo quanto sia stato sciocco allontanarsi tra di loro, ma anche quanto fasulla e travisata sia la loro idea rispetto a Margery, una donna che probabilmente non voleva affatto che i propri figli potessero somigliarle e che nel tentativo di proteggerli li ha allontanati (nel caso di Harry) o li ha resi dipendenti da sé (nel caso di Elizabeth).
Childhood è una commedia, una commedia forse amara, ma sicuramente non è un dramma. Come nel capitolo precedente di Lonelidays, mi sembra che la commedia sia l’unica strada percorribile per raccontare una storia con tutta la ferocia necessaria, ferocia che attraverso l’ironia diventa ancora più efficace e terribile.
Lorenzo De Liberato
Regia Lorenzo De Liberato
Disegno luci Matteo Ziglio
Scenografie Laura Giusti
Costumi Giuseppe D’Andrea
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